ARCHEOLOGIA: L'ORIGINE DEI PALEOVENETI IN TURKMENISTAN?
Venezia, 10 novembre – Una convincente conferma archeologica delle remote origini asiatiche delle popolazioni paleovenete, narrate dagli storici antichi, è arrivata dall'ultima missione diretta da Gabriele Rossi Osmida nell'oasi di Adji Kui, nel deserto del Turkmenistan a est del Mar Caspio: l'oggetto più straordinario restituito da quest'ultimo scavo – come riferisce l'archeologo veneziano appena rientrato dall'Asia – è una placca in osso del terzo millennio a.C. decorata con una serie di rosette incise, secondo lo stesso stilema frequentemente ricorrente anche tra i motivi ornamentali della cultura paleoveneta che, secondo la tradizione, proverrebbe da un’area geografica caspiana nota come Paflagonia.
È da un quarto di secolo che Rossi Osmida sta riportando alla luce alcune cittadelle del III° II° mill. a.C. appartenenti alla “Civiltà delle Oasi”, una cultura di carovanieri dei deserti dell'Asia centrale da lui stesso identificata nell’antica Margiana. Stavolta la missione dell’associazione Antiqua Agredo – Centro Studi ricerche Venezia-Oriente, ha concentrato le ricerche soprattutto ad ovest della cittadella di Adji Kui 1: e proprio in quest’area, dove si aprivano laboratori artigiani, si sono rinvenuti pesi da telaio e fusarole, e belle cuspidi in selce grigie appuntite e taglienti che lasciano supporre un loro utilizzo come coltellino. Lo stilema dell'incisione delle rosette vi è una presenza costante, e del resto questo motivo ornamentale era già stato riscontrato in altri scavi dell'archeologo veneziano su numerose fusarole (strumenti necessari per la tessitura) e su piccoli contenitori da cosmesi in steatite rinvenuti in Margiana. Lo stesso stilema, secondo gli studi condotti dall’archeologo Serge Cleuziou, si sarebbe irradiato fino all’Oman.
Si apre così una serie di interrogativi sulle origini tanto degli antichi Margi (popolazione della Margiana, la più antica area abitata del Turkmenistan) quanto dei Paleoveneti, cui si cercherà di rispondere con mirate analisi per tracciare una mappa del DNA dei reperti scheletrici giunti fino a noi; se ne incaricherà il Dipartimento di Antropologia dell'Università di Harvard.
La missione, che Gabriele Rossi Osmida ha tenuto a dirigere personalmente nonostante i postumi di un ictus che ancora lo costringono a spostarsi su sedia a rotelle, è stata realizzata con il contributo del Ministero degli Affari Esteri Italiano e dal gruppo Francesco Molon. La ricerca era inizialmente intesa soprattutto ad individuare il limite della necropoli e i resti murari a sud/ovest, e mettere in luce l’antico impianto urbano sopravvissuto al grande incendio che nel 2200/2250 a.C. distrusse la cittadella. Interventi nel tessuto urbano hanno confermato che la struttura del pomerio (il corridoio che corre all’interno delle mura periferiche) è una caratteristica costante delle cittadelle della Civiltà delle Oasi: al suo interno, o immediatamente all’esterno, si aprivano i magazzini e i laboratori artigiani, dove è stata rinvenuta la splendida placca ossea decorata a rosette.
In questa occasione, in accordo con l’Istituto di Archeologia l’Università di Bologna, Dipartimento di Storia-Cultura-Civiltà, si è tenuto il primo campo scuola con nove studenti sotto la guida della Prof. Barbara Cerasetti, un'esperienza che sarà rinnovata anche nelle prossime missioni. Gli studenti hanno fatto una serie di saggi sul sito AK1 localizzando tracce di insediamenti nomadi dell’età del ferro. Dal canto suo, il Ministero della Cultura turkomanno, sollecitato da continue richieste internazionali di notizie sulle ricerche dirette da Rossi Osmida, si è convinto ad organizzare una mostra a Berlino nel 2016 sugli scavi in Margiana, con la possibilità di renderla itinerante e quindi anche con l’opportunità di portarla poi in Italia.
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