ADJI KUI - III° II° mill. a.C.

ADJI KUI - III° II° mill. a. C. - deserto del Karakum

CENTRO STUDI RICERCHE  VENEZIA-ORIENTE                                                                                                                            - FOTO GALLERY - Gabriele Rossi Osmida  Direttore del Progetto “Antica Margiana”   Dopo la decennale esperienza maturata nella necropoli di Gonur, dal 2001 una missione congiunta italo-turkmena sta conducendo importanti e complesse ricerche nell’oasi di Adji Kui, distretto di Bayram Ali, Mary Velayat. Sulla fine degli anni Novanta diversi specialisti occidentali cominciarono a sollecitare maggiori informazioni sulla cronologia dell’antica Margiana e sul rapporto esistente tra la cultura specifica che aveva prodotto durante l’età del Bronzo, il BMAC (Bactrian Margiana Archaeological Complex) e le altre culture contemporanee dell’Asia Media. A queste domande si poteva rispondere solo con l’avvio di uno scavo rigorosamente stratigrafico supportato da verifiche cronologiche di laboratorio (C14). Era però necessario individuare un sito ancora intonso, non sconvolto dagli interventi distruttivi effettuati durante il periodo sovietico. Con l’aiuto del National Department for the protection, Study and Restoration of the historical and cultural monuments of Turkmenistan la scelta cadde sull’Oasi di Adji Kui dove, dei dodici siti dell’età del Bronzo individuati da I.Masimov negli anni Settanta, ne sopravvivevano miracolosamente solo due che si preannunciavano particolarmente significativi: AK1 e AK9. AK1 era il sito più sopraelevato che, con i 3.5 ettari di estensione calcolati da Masimov, veniva proposto come capitale dell’oasi; AK9, invece, sempre secondo Masimov, avrebbe ricoperto una superficie di 0.98 ettari. In seguito queste stime, riportate e sostenute anche da altri ricercatori, si dimostrarono inesatte per un semplice motivo: si trattava di stime rilevate in superficie che non rispecchiavano necessariamente quanto era ancora sepolto dalla sabbia. Così l’insediamento di AK9, a scavo ultimato, risultò di circa 6.25 ettari e quello di AK1 oggi, a scavi in corso, si preannuncia almeno di 14 ettari. Dopo un primo intervento in AK1 che evidenziò la complessità del sito, si decise di scavare per primo AK9, più ridotto e, quindi, più gestibile, per mettere a fuoco le problematiche che si sarebbero dovute affrontare con lo scavo di AK1. Parallelamente si avviò anche l’esplorazione archeologica di una vasta necropoli individuata tra AK1 e AK9 che ha portato all’individuazione e allo studio di circa 700 sepolture ascrivibili alla fine del III – inizi del II millennio a.C. Lo scavo di AK9 si esaurì nella primavera del 2007 e le prime considerazioni di carattere generale vennero offerte lo stesso anno con la pubblicazione di un primo volume [1]; il secondo volume, che illustrerà i reperti e le conclusioni, è attualmente in corso di stampa. Il quadro restituito da AK9 fu estremamente importante sia per le riflessioni di natura scientifica che stimolava sia perché suggerì le linee programmatiche degli interventi in AK1. In effetti se gli scavi in AK1 avessero confermato quanto intuito per AK9, allora tutte le ipotesi di una comparsa in Margiana della cultura del BMAC legata a migrazioni straniere o provenienti dal Sud del Turkmenistan (area del Tedjen) andavano necessariamente riviste. Il primo deciso intervento in AK1 risale alla primavera del 2007 quando si praticò un grande trench sul lato ovest che mise in luce una articolata stratigrafia, speculare a quella di AK9. Non solo ma, alla base del trench, fu individuata una sepoltura con i resti di un individuo di sesso maschile di grande taglia, diverso dai tipi antropici restituiti dalla necropoli, collocabile verso la fine del IV millennio. Gli scavi si sono quindi concentrati sul settore N e NE mantenendo sotto stretto controllo le quote e verificando puntualmente i reperti con analisi di laboratorio non solo mirate alla cronologia ma anche alla ricostruzione del clima, dell’ambiente e della vita quotidiana (analisi paleobotaniche, archeo-zoologiche, mineralogiche, paleo-idrologiche, satellitari, ecc.). Così, allo stato attuale delle ricerche, si calcola che il sito di AK1 occuperebbe un’area di oltre 14 ha, cosa che lo collocherebbe tra le maggiori città dell’età del Bronzo in Asia Centrale, accanto al noto complesso di Gonur da cui Adji Kui si distingue comunque anche per una articolata sequenza. In base ai dati fin qui raccolti, è già possibile qualche anticipazione. Innanzitutto è confermata la presenza di un paleo-suolo riferibile alla fine dell’Eneolitico dal momento che, nel corso di alcuni saggi stratigrafici, se ne sono trovate tracce nel settore SE dell’acropoli e, esternamente, nel grande trench scavato a Ovest e in un altro trench praticato a Est dove, oltre a un’altra sepoltura che confermerebbe l’esistenza di un “tipo” antropico affine a quello rinvenuto nel grande trench, sono stati individuati tipici frammenti di ceramica colorata in rosso e bruno e alcuni focolari. Quanto fin qui individuato, autorizza a ritenere che in epoca eneolitica esistessero già dei villaggi in Margiana in quanto questa regione era allora vitalizzata dal delta interno del Murghab che consentiva, oltre all’allevamento del bestiame, anche lo sviluppo di una attività agricola vantaggiosa. Gli insediamenti successivi si svilupparono in loco “anche” grazie all’arrivo di genti appartenenti ad etnie diverse, come si verifica in qualsiasi processo di sviluppo culturale. Ma il ceppo d’origine delle cittadelle è comunque autoctono e i successivi insediamenti non sono certo da attribuire all’arrivo di popolazioni “portatrici di cultura” che costruirono dal nulla e nel nulla le cittadelle del BMAC. Verso la metà del III millennio, la prima cittadella di AK1, sorta in posizione favorevole lungo un tratto vitale della Via delle Oasi (la futura “Via della Seta”) che raccordava la Valle dell’Indo al Mar Rosso e al Mediterraneo, venne protetta da una prima cinta muraria per metterla al sicuro dalla voracità dei nomadi del Nord. Durante quest’epoca (2500-2400 a.C.), con l’intensificarsi degli scambi commerciali registratisi durante l’antico periodo dinastico, Ur importava ingenti quantitativi di lapislazzuli e pietre semi-preziose dall’Afghanistan. Per cui AK1 crebbe di importanza, come testimonia la costruzione di una acropoli fortificata, sede politico-amministrativa dell’oasi, rimasta operativa anche in epoca accadica. Tra il 2200 e il 2100 l’acropoli venne distrutta da un incendio di cui si trovano tracce anche all’esterno e che va probabilmente collegato alle turbolenze che agitarono questa regione durante la decadenza di Accad, iniziata durante il regno di Shar-Kali-Sharri (ca 2219-2205 a.C.),  e l’affermarsi della III dinastia di Ur (ca 2113 a.C.). Le datazioni al radiocarbonio e i rilievi archeologici in AK1 e AK9 lasciano intuire che, dopo l’incendio, il governo dell’acropoli si sia spostato provvisoriamente nel mastio della vicina AK9 dove si trasferirono anche diversi abitanti. Contemporaneamente si avviò la ricostruzione e il restauro di AK1 che venne protetta da una cinta muraria massiccia dotata di torri e rinforzata con potenti contrafforti. Per un insieme di fattori avversi, tra cui il declino della Civiltà dell’Indo e il progressivo abbandono delle rotte carovaniere a favore di quelle fluviali e marittime, per sopravvivere, Margiana e Battriana furono costrette a produrre oggetti appetibili dai mercati del Vicino Oriente Antico, sfruttando le risorse materiali e culturali di cui disponevano. Nacque la cultura Bactrio-Margiana che stimolò dal 2000 al 1750 a.C. la produzione degli ateliers di Adji Kui. In questo periodo AK1 appare organizzata come un grande centro sub-industriale e la sua acropoli viene dotata di un’altra possente cinta muraria, con il lato nord provvisto di feritoie per il lancio di proiettili. Segno che dovevano esser riprese le scorrerie dei nomadi settentrionali. La decadenza iniziò verosimilmente verso il 1800 a.C. e si concluse tra il 1500 e il 1300 con l’abbandono della cittadella anche se, in epoca selgiuchide, con il rilancio della Via della Seta per il Caspio, venne costruito tra le sue rovine un caravanserraglio. Attualmente la nostra missione sta esplorando i livelli dell’acropoli compresi tra il 2500 e il 1800 a.C. e sta mettendo in luce l’area a N e a NE dell’insediamento. Con le ricerche fin qui sviluppate si è constatata l’indiscutibile appartenenza del sistema margiano alla macroregione del MAIS (Middle Asian Interaction Sphere) definita da G.L.Posshel nel 2002, nel cui ambito le cittadelle margiane agivano come co-protagoniste di una grande civiltà, la Civiltà delle Oasi, che assicurava lo scambio di merci e di idee tra l’Oriente, il Mediterraneo e il Golfo Persico. Tale ottica è oramai condivisa da diversi esperti, in particolare da Carl Lamberg Karlowski e Pierre Amiet, ritenuti a ragione gli studiosi più rappresentativi dell’archeologia del Vicino Oriente Antico. Mentre Pierre Amiet dichiara che, a parer suo, quella della Civiltà delle Oasi da me ipotizzata fin dal 2001, è stata una delle maggiori scoperte dell’archeologia contemporanea [2], Carl Lamberg Karlowski pone l’accento sull’importante contributo che stanno offrendo le nostre ricerche in Adji Kui sia per il recupero di una reale conoscenza delle interrelazioni tra l’antico Turkmenistan e la Middle Asian Interaction Spere, sia per chiarire l’annosa questione legata alla formazione del complesso culturale Bactrio-Margiano (BMAC). Questi incoraggiamenti sono il miglior stimolo per continuare le ricerche nell’oasi di Adji Kui, unica chiave di lettura integra attualmente superstite per comprendere non solo il BMAC ma lo sviluppo di tutte le civiltà fiorite nell’ambito della sfera medio-asiatica (MAIS) di cui la Margiana è stata indiscussa protagonista.
[1] Rossi Osmida G., The Citadel of the Figurines, Il Punto Edizioni, Trebaseleghe 2007 [2] « J’apprécie trés particulièrement votre prèsentation de la dècouverte de la Civilisation des Oasis. Trés franchement, je pense que c’est une des révélations majeures de l’archéologie contemporaine ». Paris, 6 janvier 2010.